Nautica

La cantieristica: dai “barcobestia” agli yatchs di lusso

L’approdo in mare è sempre stato per lo Stato di Lucca fondamentale per i propri traffici e per tenere i contatti con tutto il mondo e proprio per questo, sin dai primi virgulti di indipendenza dall’impero, all’alba del secondo millennio, Lucca ebbe i primi contrasti con la vicina Pisa a causa dell’eterna contesa per il predominio sulla costa, fino ad allora di esclusiva pertinenza della Repubblica marinara. Ma una volta superata la scomoda concorrenza pisana, l’approdo navale lucchese rappresentato dal porto di Motrone a Pietrasanta fu insidiato insistentemente dal Granducato con Firenze che aveva bisogno di uno scalo marittimo per i suoi commerci. Così, nel cinquecento, la città, dietro le pressioni della Santa Sede, dovette rinunciare al suo porto di mare e crearne uno nuovo, nella zona di Viareggio lungo il canale Burlamacca, dove costruì anche la Torre Matilde per difendere l’approdo in mare. Fino ad allora, Viareggio era stato un castello che si affacciava sul mare e sulla “via regia”, soggetto ad ogni tipo di attacchi. Ma questa necessità, costituì anche la fortuna del territorio che, quando seppe vincere la malaria e l’insalubrità del clima marino con la costruzione delle cateratte dello Zendrini, potè iniziare a svilupparsi come centro urbano e marittimo con il proprio porto. Ma in tempi più recenti, con la realizzazione di imbarcazioni sempre più grandi, emerse la necessità di disporre di fondali più profondi che Viareggio non poteva garantire, a tutto vantaggio del vicino porto di Livorno che finì per relegare quello viareggino in ruoli di secondaria importanza. Tuttavia, questo non impedì al porto di Viareggio di espandersi, con la creazione di diverse darsene (“Toscana”, “Italia” e “Europa”) a cavallo del novecento e soprattutto di avviare e sviluppare un settore cantieristico che oggi è ai vertici mondiali per la costruzione di imbarcazioni da diporto.

Per molto tempo, infatti, fino al primo novecento, dai nascenti cantieri navali sono uscite solo imbarcazioni di legno, dai velieri ai caratteristici “barcobestia”, che grazie alla maestria dei costruttori seppero conquistarsi molti estimatori in Italia e nel mondo. E se ad inizio Ottocento, la flotta viareggina era costituita da 19 barche da trasporto e 24 da pesca, successivamente, nei primi anni dell’unità d’Italia contava già più di 200 imbarcazioni. Nacque, così, l’epoca d’oro dei costruttori viareggini che, una volta messisi in proprio, dettero vita ad una generazione di costruttori di navi. I primi, però, ad investire sulla nautica viareggina fu la famiglia Ansaldo di Genova che ingaggiò i migliori maestri artigiani viareggini. L’Ansaldo fece scuola nel settore dove mancava una formazione specifica e dove, fino ad allora, ci si affidava alla maestria dei primi artigiani del legno e fu introdotta, molto in ritardo rispetto ad altre parti d’Italia, l’uso di acciaio e ferro per la costruzione delle navi. Così, nel 1917, fu costituita la “Società Costruzione e Navigazione Velieri” che, però, nel giro di due anni, naufragò, facendo emergere i primi costruttori viareggini che, appresa l’arte dai genovesi, decisero di mettersi in proprio. Nacquero, così, nel giro di pochi anni, i cantieri navali Benetti e Codecasa. A loro si aggiunsero i Picchiotti, una famiglia storica di imprenditori nautici, esistente già nel 1600 a Limite sull’Arno. E’, però, del 1941, il varo del primo motoveliero in acciaio dai cantieri Benetti. La distruzione bellica a seguito della fase più cruenta della seconda guerra mondiale, obbligò il settore nautico a risorgere dalle sue ceneri e già nel 1946 troviamo attivi tredici cantieri, tra i quali: i “Fratelli Benetti”, l’“Italia” di Carlo Landi, “Maurizio & Bertani Benetti”, “Itoyz & Puccinelli” e il cantiere “Picchiotti”. Da quel momento, il settore crebbe rapidamente con la produzione di numerose imbarcazioni in acciaio e successivamente anche di barche di lusso. Anche l’introduzione nel settore dell’uso di vetroresina, accelerò l’affermazione del settore a livello mondiale dovendo, però, fare i conti con la grave crisi del petrolio negli anni ottanta che portò alla chiusura dei cantieri storici. E mentre i “Codecasa” resistevano, le altre grandi aziende passavano la mano: la “Fratelli Benetti” passò all’Azimut di Torino, l’“M.&B. Benetti” alla SEC, poi fallita agli inizi del 2000 e la “Picchiotti” alla Perini Navi. Una trasformazione globale e strutturale della nautica viareggina che ha abbandonato il settore mercantile, specializzandosi in quella da “diporto”, in cui è uno dei leader mondiali.

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